Ultima modifica: 7 Luglio 2014
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LA FUNZIONE DELLA SCUOLA: riflessioni di mezza estate

A scuola terminata e quindi, come si suol dire, “a bocce ferme”, può essere utile qualche piccola riflessione da condividere con docenti e genitori sui fondamentali, se così possiamo chiamarli, vale a dire sul senso e il significato dell’Istituzione Scuola, anche alla luce dell’esperienza di quest’anno scolastico appena concluso.

Parafrasando un celebre adagio, potremmo dire: “Chi siamo? Da dove veniamo? Dove stiamo andando?” ponendo come soggetto di queste domande la scuola e in particolare la scuola riminese e tutti coloro che operano in essa.

Possiamo cominciare a cercare le risposte nella nostra Carta Costituzionale, che attribuisce alla scuola il preciso statuto di Istituzione preposta all’istruzione; gli articoli di riferimento sono i seguenti (vale la pena di ricordarli):

Art. 9: La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.

Art. 30: È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio.

Art. 33: L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.

Art. 34: La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.

La scuola è dunque pensata come un luogo che ha il compito di presidiare e sviluppare la cultura e la ricerca, salvaguardando la libertà dell’arte, delle scienze e del loro insegnamento.

Queste affermazioni, lungi dall’essere pure petizioni di principio, hanno risvolti pratici molto importanti, in quanto significano, in primis, che l’organizzazione dell’istituzione scuola deve essere pensata e costruita per favorire l’apprendimento e l’istruzione degli studenti (tutti quanti) e la formazione in servizio dei docenti (senza la quale non è pensabile una scuola di qualità, che si rinnovi e sappia fare ricerca).

Ne consegue che la formazione delle classi, la definizione dell’orario scolastico, l’organizzazione delle attività extra-curricolari, dovranno porsi questi obiettivi e non potranno essere interpretate come assolvimento di un servizio sociale o peggio on demand, o addirittura come una forma di “selezione sociale preventiva”.

Spesso nell’opinione pubblica la funzione sociale e la funzione culturale e di istruzione vengono assimilate e confuse, con conseguente richiesta alle scuole di azioni che non competono loro.

Per fare un esempio, se l’orario scolastico è tale da coincidere con gli impegni di lavoro dei genitori, sicuramente siamo di fronte ad una soluzione ottimale; ma nel caso in cui tale evenienza non si verifichi, la scuola non può immaginare di conformare l’orario a quello lavorativo, se questo confligge con le esigenze didattiche ed organizzative dell’Istituzione.

Questo non significa negare le problematiche quotidiane delle famiglie, ma semplicemente assolvere al proprio mandato e non a quello altrui.  

I compiti attinenti l’organizzazione familiare, la custodia dei figli e così via non sono di competenza della scuola, ma della famiglia in primo luogo e, se necessario, dell’Ente Locale che interviene a supporto con servizi ad hoc.

Questo è anche il caso di attività come il pre- e post- scuola o il servizio degli educatori per gli alunni con handicap: si tratta di situazioni in cui la scuola può porsi come collaboratore dell’ente locale, ma resta in capo a quest’ultimo il dovere di sostenere le famiglie nei loro specifici bisogni di carattere assistenziale. Ciò non significa sottovalutare la portata di tali servizi, ma semplicemente riconoscere le rispettive competenze ed attribuzioni.  

Tuttavia, poiché oggi viviamo nell’epoca dei servizi on demand o ad personam, si è diffusa la convinzione che ad ogni richiesta debba necessariamente seguire una risposta positiva: così, chiedere e pretendere diventano sinonimi, mentre le esigenze dell’organizzazione appaiono come superflue o perfino espressione di arroganza burocratica, quando altro non sono che garanzia dei diritti della collettività. Sfugge infatti ai più il fatto che al privilegio accordato a qualcuno corrisponde sempre un torto subito da altri.

Proviamo dunque ad analizzare, calandole nel nostro contesto (e con riferimento a domande e questioni che mi sono state poste nel corso di questi mesi), le affermazioni della Costituzione:

  • L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento:

o   dunque l’insegnante può dire e fare ciò che vuole? NO. La libertà di insegnamento si realizza all’interno degli Organi Collegiali della scuola, che decidono, in accordo con le linee guida del Ministero e le Nuove Indicazioni Nazionali, come declinare i contenuti e le modalità della didattica nel contesto specifico.

o   Dunque il genitore non può intervenire sui contenuti dell’insegnamento?

 NO, se interviene pretendendo di censurare contenuti che non lo soddisfano.

SI, se chiede di essere messo al corrente del percorso didattico e di confrontarsi sull’efficacia dello stesso.

  • La scuola è aperta a tutti. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi:

o   Ne consegue che nella scuola pubblica (che sia statale o paritaria) non è lecito né per i docenti né per i genitori chiedere l’allontanamento di un alunno non gradito, né scegliere la classe per  sé (se docenti) o per il proprio figlio (se genitori) in base a criteri che non siano di carattere didattico e culturale.

Ne consegue anche che nessun alunno può essere privato del proprio diritto allo studio (e quindi escluso da qualche attività didattica) solo perché privo di mezzi.

  • L’istruzione inferiore è obbligatoria e gratuita:

o   Le famiglie quindi non sono tenute a pagare il contributo richiesto dalla scuola, che infatti viene definito “volontario”.

Allora perché la scuola richiede il contributo? Perché confida nella collaborazione delle famiglie per riuscire a far fronte alle spese che comporta l’adempimento del suo ruolo istituzionale e per le quali non sempre è sufficiente il finanziamento previsto dallo Stato. Il contributo viene destinato all’attività didattica, in base alla valutazione delle esigenze concretamente verificate. Se ogni quota di contributo fosse spesa esclusivamente per il singolo alunno che ha versato il contributo, non avrebbe alcun senso, poiché non migliorerebbe l’offerta didattica della scuola.

 

  • È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli:

o   La famiglia resta la prima responsabile dell’educazione e dell’istruzione dei figli.

Va sottolineato che la legge parla di “dovere” e non soltanto di “diritto” ad occuparsi di questo fondamentale aspetto della vita familiare, collaborando con la scuola, ciascuno per quanto di propria competenza e nel reciproco rispetto.

È quindi da evitare ogni atteggiamento di competizione e conflitto tra scuola e famiglia, che non sono due antagonisti, ma due istituzioni che si prefiggono lo stesso scopo.

Non è lecito ai docenti tentare di insegnare ai genitori il loro “mestiere”, così come il giudizio dei genitori sull’operato dei docenti dovrebbe essere sempre rispettoso e dialogante.

Non bisogna dimenticare, da una parte e dall’altra, che il contesto della famiglia è diverso da quello della classe e che ciascuna delle due parti ha soltanto una visione parziale dell’insieme.

Educare ed istruire è un compito affascinante e difficile, che lo si svolga nel ruolo di genitori o di insegnanti: oltre alle competenze necessarie, è indispensabile riconoscere l’impegno di tutti gli altri che operano nella nostra stessa direzione, anche nei momenti in cui non riusciamo a vedere i risultati che ci aspetteremmo, poiché i tempi del raccolto in questo tipo di semina sono lunghi e presuppongono una buona dose di umiltà, di costanza e di pazienza.

 




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